Nessuna certezza dopo 10 anni sulla sorte delle 239 persone che si trovavano a bordo del volo MH370 partito da Kuala Lampur
L’8 marzo 2016 un aereo di linea, che trasportava 239 persone, scomparve dai radar mentre sorvolava il Mar Cinese Meridionale e non fu mai più trovato.
Da allora la sparizione del volo MH370 della compagnia aerea Malaysian Airlines ha appassionato moltissime persone, ha portato a campagne di ricerca molto costose e inconcludenti ed è diventata uno dei più grandi misteri nella storia dell’aviazione civile.
Tutt’oggi, dopo dieci anni, non si sa quali furono le cause della sua scomparsa, ma soprattutto non si conosce di preciso il punto in cui l’aereo precipitò, probabilmente inabissandosi nell’Oceano e causando la morte di tutte le persone a bordo.
Ci sono spesso nuove ricerche che potrebbero portare alla scoperta della scatola nera, ma l’Oceano è grande e profondo, perciò è molto probabile che non si saprà mai di preciso che cosa accadde al volo MH370. Qui di seguito faremo una ricostruzione dell’accaduto.
Il mistero del volo MH370
Anche in quel caso la comunicazione fu ordinaria e il capitano salutò il controllo di volo malese con una frase che sarebbe stata molto citata negli anni successivi, più che altro per la sua normalità: “Buona notte. Malaysian tre sette zero”.
A quel punto il volo MH370 si sarebbe dovuto mettere in contatto con i controllori di volo di Ho Chi Minh, visto che stava entrando nello spazio aereo vietnamita, ma non ci furono comunicazioni.
Dalla partenza da Kuala Lumpur erano passati 38 minuti e l’equipaggio aveva smesso di comunicare a terra, ma l’aereo poteva essere ancora rilevato da alcuni sistemi radar e satellitari, in questo caso basandosi su alcune trasmissioni inviate automaticamente dall’aeroplano.
In mancanza di informazioni, i controllori di volo vietnamiti si misero in contatto con quelli malesi. Seguirono ore di lavoro per provare a ripristinare una via di comunicazione e soprattutto per provare a capire dove si trovasse l’aereo, ammesso fosse ancora in volo.
I primi tentativi furono vani e poco dopo le 7 del mattino Malaysian Airlines diffuse un breve comunicato, annunciando di avere perso il volo MH370, che sarebbe dovuto atterrare a Pechino circa un’ora prima.
La compagnia aerea disse di avere avviato un coordinamento con il governo malese per le attività di ricerca, soccorso e recupero.
In quel momento le informazioni erano molto poche e di solito, quando si verificano problemi a bordo, l’equipaggio segnala ciò che sta accadendo a terra, in modo che possano essere organizzati i soccorsi.
Anche nella peggiore delle ipotesi, un aereo a oltre 10mila metri di altitudine impiega del tempo prima di precipitare e i malfunzionamenti sono raramente improvvisi, quindi l’equipaggio ha tempo per comunicare un problema.
Dal volo MH370 non era però arrivato nessun segnale e nessun aggiornamento sulla posizione: sembrava essere scomparso e basta.
In alcune fasi di volo un aereo non comunica necessariamente di continuo la propria posizione: questa viene però dedotta a terra dai punti radio ai quali si è collegato, dalle rilevazioni radar e dalle comunicazioni dell’equipaggio con i centri del controllo aereo.
All’epoca alcuni dati venivano trasmessi tramite collegamenti satellitari, ma derivare da questi una posizione esatta era complicato e ritenuto poco necessario visti tutti gli altri sistemi per capire dove si trovasse un aeroplano.
Nelle ore e nei giorni seguenti l’analisi di quei dati portò tuttavia a scoprire che il volo MH370 a un certo punto avesse cambiato drasticamente rotta rispetto a quella prevista per raggiungere Pechino.
Dalla ricostruzione dei dati radar si scoprì che invece di proseguire verso nord-est, l’aereo aveva virato verso sud-ovest mentre si trovava tra il Golfo di Thailandia e il Mar Meridionale Cinese.
Aveva attraversato nuovamente lo spazio aereo della Malaysia e aveva poi virato verso nord-ovest allontanandosi verso l’oceano Indiano in direzione delle isole Andamane.
Le ricerche iniziarono a concentrarsi in quella zona quando scoprirono che non solo il volo MH370 aveva seguito una rotta quasi opposta a quella che avrebbe dovuto seguire, ma proseguì per ore la navigazione dopo la scomparsa dai radar raggiungendo la parte sud-orientale dell’Oceano Indiano.
Furono identificate una serie di coordinate dove l’aereo si sarebbe potuto inabissare, probabilmente molto a largo della costa occidentale dell’Australia.
Data l’enorme estensione dell’area, le attività di ricerca sarebbero diventate le più costose nella storia dell’aviazione civile e coinvolsero sia governi nazionali come quello della Malaysia e dell’Australia, sia società private, non solo con aerei da ricognizione, ma anche con mezzi sottomarini per provare a identificare i resti dell’aereo, e soprattutto la scatola nera con le registrazioni delle conversazioni nella cabina di pilotaggio con i dati a bordo.
Dopo alcuni ritrovamenti si fermano le ricerche
Un punto si svolta ci fu tra il 2015 e il 2016 con la scoperta di alcuni frammenti della cabina di un aereo arrivati sulle spiagge di alcuni paesi che si affacciano sull’Oceano Indiano, poi confermati come appartenenti al volo MH370, che furono molto importanti per comprendere la rotta effettiva dell’aereo.
I ritrovamenti diedero nuova spinta alle ricerche che durarono per altri tre anni in un’area grande 120mila chilometri quadrati, ma non arrivarono però risultati e così il governo dell’Australia decise di interromperle.
Nel 2018 furono interrotte anche le ricerche da parte di Ocean Infinity, l’azienda statunitense che per circa sei mesi aveva provato a scandagliare un’area dell’Oceano Indiano in cerca dell’aereo.
Furono diverse le ipotesi sulle ultime ore del volo MH370, ma ad oggi nessuna ha ricevuto conferme o ha acquisito maggiore solidità: fu ad esempio ipotizzato che l’aereo si fosse depressurizzato quando si trovava a 10mila metri senza che funzionassero adeguatamente i sistemi per fornire ossigeno all’equipaggio e ai passeggeri in casi di emergenza di questo tipo.
Irrimediabilmente tutte le persone a bordo avrebbero perso i sensi e l’aereo avrebbe continuato a volare con i sistemi automatici, prima di perdere quota e infine schiantarsi sulla superficie dell’Oceano. L’ipotesi è stata contemplata da molti esperti, ma ancora oggi non c’è un consenso intorno a questa ricostruzione.
In mancanza di dati concreti circolarono molte altre teorie, alcune più creative di altre. Negli anni è stato ipotizzato che la scomparsa del volo MH370 fosse il frutto di un dirottamento finito male, attuato o da alcuni dei passeggeri o da alcuni membri dell’equipaggio.
Ci furono ipotesi su un attacco terroristico, sulla scelta del pilota di suicidarsi come avvenuto con un altro volo sulle Alpi francesi, oppure sulla possibilità che si fosse sviluppato un incendio a bordo o ancora che l’aereo fosse stato abbattuto per errore con un razzo.
Quest’ultima ipotesi in particolare fu quella più sostenuta, anche per via dell’abbattimento di un aereo, sempre gestito da Malaysia Airlines, quattro mesi dopo la scomparsa del volo MH370: il 17 luglio 2014 il volo MH17 venne abbattuto mentre era in volo sopra l’Ucraina da un missile terra aria di un sistema di lancio sotto il controllo delle forze secessioniste filorusse del Donbass.
La scomparsa del volo MH370 ha comunque già avuto un importante effetto sulle procedure e sui sistemi di controllo per la sicurezza del volo.
La revisione di alcuni standard ha per esempio portato a richiedere l’utilizzo di batterie che durino più a lungo sui sistemi di localizzazione subacquei, cioè i dispositivi che emettono impulsi sott’acqua in modo da indicare la presenza dell’aereo o di ciò che ne resta.
Tra le altre misure adottate ci sono tempi maggiori di registrazione delle conversazioni nella cabina di pilotaggio e dei dati prodotti dai sistemi di bordo, in modo da poter ricostruire meglio le dinamiche di un incidente al recupero delle “scatole nere”.
Sono stati anche adottati nuovi sistemi per la localizzazione degli aeroplani quando sono in volo sopra gli Oceani, in modo da avere dati più affidabili e aggiornati in tempo reale.